Una recente ricerca, svolta nel primo trimestre dell’anno da una nota agenzia per il lavoro, mostra aspetti interessanti riguardo all’andamento del mercato del lavoro e, in particolare, il rapporto dei lavoratori italiani con la tecnologia.
Dallo studio emerge che in Italia 3 lavoratori su 4 dispongono di un collegamento alla rete sul posto di lavoro, un quarto possiede uno smartphone consegnato dal datore di lavoro e circa il 50% del campione (lavoratori dipendenti con età compresa tra 18 e 65 anni) ha un cellulare personale con cui connettersi a internet. Tale “invasione tecnologica” crea una divergenza di pensiero tra i datori di lavoro (39%) che esigono una reperibilità dei dipendenti 24 ore su 24, tutti i giorni, e i lavoratori che considerano strumenti quali telefono, e-mail e internet una fonte di distrazione che riduce il rendimento.
Il 63% dichiara di aver ricevuto telefonate o e-mail fuori dall’orario di lavoro, la metà durante le vacanze. Un terzo dei soggetti, dato il confine tra lavoro e vita privata sempre più sottile, ammette di aver recuperato il tempo dedicato al lavoro nel privato, occupandosi di faccende private sul posto di lavoro. Lo stress dovuto all’eccesso d’informazioni ricevute, presente nel 41% del campione (francesi 39%, inglesi 35%, tedeschi 34% e statunitensi 32%) sembra portare a una resistenza, quale forma di difesa, nei confronti di e-mail e telefonate. La “connettività nomade”, ossia attraverso smartphone, diffusa nel 52% della popolazione (Cina 84%, Hong Kong 79%, India e Malaysia 71%), permette di identificare il lavoratore italiano medio che naviga in rete fuori dal lavoro: prevalentemente di sesso maschile (30% rispetto al 18% delle donne), tra i 18 e 44 anni (28% mentre il 18% della fascia 45-64 anni) e dipendente nel settore privato (26% contro il 20% del settore pubblico). Il 73% dei lavoratori italiani, nonostante la vasta disponibilità di mezzi di comunicazione virtuale, dichiara di preferire comunicazioni reali faccia a faccia, ricche di segnali comunicativi, che “nutrono” la relazione sul piano emozionale e funzionale.
I risultati dimostrano, pertanto, che in mancanza di un codice di comportamento condiviso, un modello lavorativo così pervasivo rischia di condurre a forme di “stress tecnologico”.